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Indagine congiunturale - Risultati

Vicenza, 28 marzo 2006

COMUNICATO STAMPA

APINDUSTRIA VICENZA

DIAMO FIDUCIA AL 2006

Piccola crescita, nel 2005, di ordinativi e fatturato, in modesta flessione produzione e occupazione. Segnali di fiducia e positività per il 2006. Le “piccole”, più pronte a cogliere le opportunità di business.

Sergio Dalla Verde, presidente di Apindustria Vicenza, fa il punto sulla congiuntura e sulle aspettative per il primo semestre 2006.          

 

“Archiviamo un 2005 indubbiamente difficile, ma registriamo, in questi  primi mesi dell’anno, segnali di fiducia e di reazione da parte delle nostre aziende”.  

Sintetizza così il quadro congiunturale emerso dalla consueta indagine condotta su un campione di 216 aziende di Apindustria Vicenza, Sergio Dalla Verde, alla guida dell’Associazione di categoria vicentina che rappresenta oltre 1500 piccole medie industrie.

“Dopo un primo semestre all’insegna dell’incertezza, le aziende hanno chiuso la seconda metà del 2005 registrando piccoli aumenti di ordinativi e fatturato (rispettivamente +0,9% e +1.5%) ma anche un calo, seppur modesto, di produzione ed occupazione (- 0.6% e -1,5%). In sintesi, una leggera flessione, con complessivi segnali di tenuta. Gli imprenditori guardano al 2006 con più positività: cala la quota di aziende che prevedono stallo (dal 50% al 40%), aumentano gli “ottimisti” (dal 25% al 30% del campione), si mantiene costante la percentuale di chi invece teme una riduzione del proprio business (20%)”. 

“I settori che si confermano in crescita sono il metalmeccanico, l’elettromeccanica-elettronica ed il legno-mobilio, che registrano variazioni positive per gli ordinativi, la produzione ed il fatturato Per l’elettromeccanica-elettronica e per il legno-mobilio, in particolare, le tendenze positive sono anche in significativo aumento rispetto al semestre  precedente. Ancora bene l’edile-lapideo-impiantistica, in leggera ripresa l’alimentare e i servizi-trasporti-logistica. I settori, invece, che denotano ancora situazioni di difficoltà sono il tessile-abbigliamento (con diminuzioni di ordinativi, produzione, fatturato ed occupazioni inferiori al -10%), la chimica e la plastica-gomma, la carta-grafica-editoria e l’orafo, che, però, presenta andamenti leggermente meno peggiori del passato, per quanto riguarda gli ordinativi e l’occupazione. Forse questo comparto ha raggiunto il “punto di minima” da cui può solo ripartire”.

“In sintesi – sottolinea Dalla Verde – il dato per noi significativo sta nel leggero aumento del numero di aziende che vanno bene e che confermano, anche per il 2006, questo trend di crescita. Il nostro impegno associativo si deve concentrare nel sostenere quel 40% di aziende che indicano stabilità e  che devono tornare a svilupparsi, mentre le aziende in difficoltà dovranno essere “prese per mano” e supportate nel trovare nuove strategie di riorganizzazione e rilancio”.

“Le aziende leader rappresentano delle “buone pratiche” che vanno analizzate, studiate e poi offerte come esempio alle altre imprese: l’Associazione sta svolgendo questa funzione di luogo di confronto fra diverse esperienze

aziendali, dove misuriamo, in modo tangibile, la grande passione e l’entusiasmo dei nostri imprenditori”.

“Altro dato per noi interessante è la dinamicità espressa, in particolare, dalle aziende fino ai 20 dipendenti: qui, infatti, ci sembra di poter vedere in azione la grande ed innata capacità delle “piccole” (soprattutto quelle che si sono ristrutturate internamente, hanno innovato e sono riuscite ad agganciare la positiva congiuntura internazionale), di saper reagire e cogliere, in modo rapido e flessibile,  tutte le opportunità”.

“Questo segnale assume, secondo noi, un significato più vasto, a fronte di chi continua a mancare di rispetto agli imprenditori “nani”, ritenendoli inutili ed inadeguati ai tempi. In realtà, siamo convinti che oggi nel mercato non sia più vero che  “pesce grande mangia pesce piccolo”, bensì che “pesce veloce mangia pesce lento”.

“Sul fronte occupazionale il dato segna un meno: è certamente l’ulteriore indice del cambiamento in atto, che denota come anche il nostro sistema, che per anni ha assorbito la manodopera espulsa dalla grande azienda, sta comunque risentendo, sul lungo periodo, delle ristrutturazioni in corso”.

In contro tendenza il dato sugli investimenti e il ricorso al credito: nonostante le difficoltà del momento, o forse proprio a causa di ciò, si è registrata una discreta attività da parte delle aziende su questo fronte. A consuntivo, infatti, il 65% del campione ha dichiarato di aver investito, un livello in rialzo rispetto a quello registrato nel corso del primo semestre 2005 (dove aveva raggiunto quota 56%). Anche in previsione si può osservare un certo ottimismo: la quota di imprese che dichiarano di prevedere aumenti negli investimenti infatti passa dal 21%, all’attuale 35%. In corrispondenza, si registra anche un sensibile aumento nella ricorso al credito bancario, soprattutto a breve termine, ma anche a medio/lungo termine.

Infine, l’analisi sulla profittabilità dei settori di appartenenza delle imprese, effettuata sulle risposte fornite riguardo alle variazioni dei prezzi di vendita dei prodotti, dei costi di produzione e l’utile lordo, registra un ulteriore peggioramento nella contrazione dei margini delle aziende, dovuto soprattutto alla difficoltà di adeguare i prezzi di listino. I costi di produzione sono in aumento nel 57% delle imprese (nella precedente rilevazione invece questa condizione era segnala dal 45% dei casi), mentre i prezzi si adeguano soltanto nel 23% delle aziende (contro il 21% della precedente rilevazione).

FLESSIBILITA’ E LEGGE BIAGI

“Legge Biagi? Chi la conosce, non ne farebbe più a meno. Peccato che a conoscerla e ad utilizzarla, oggi,  siano ancora pochi imprenditori”.

Questo il commento al risultato del sondaggio monotematico sul mondo del lavoro, la flessibilità e la Legge Biagi condotto su un campione di 216 PMI associate, in concomitanza con la periodica  indagine congiunturale.

“Dai numeri - spiega Filippo De Marchi, vicepresidente dell’Associazione con delega alle relazioni industriali  - è emerso che se è acclarato che la legge è ancora poco conosciuta, poco utilizzata e, di conseguenza, la sua eventuale

modifica/eliminazione viene vista come ininfluente, chi invece la conosce - il 20.2% del campione -  e ha avuto modo di ricorrervi ritiene che la sua

riduzione/cancellazione potrà comportare effetti occupazionali negativi, che ricadrebbero su un numero anche molto rilevante di lavoratori”.

“Bisogna ricordare bene – sottolinea De Marchi – che la Legge Biagi ha il grande merito di aver cambiato radicalmente la prospettiva da cui guardare al rapporto di lavoro. Si tende, infatti, a dimenticare lo scenario precedente al 2001: un mercato del lavoro rigido e ingessato, completamente scollegato nei tempi e nei modi dalla realtà del mondo produttivo”.  

“Questa riforma è, sicuramente, perfettibile; tuttavia conta il cambio radicale di impostazione che ha portato con sé. Va quindi salvaguardata, eventualmente modificata, ma senza pericolosi salti all’indietro, che la nostra economia non  può  assolutamente permettersi”. 

“La vera sfida - prosegue De Marchi – consiste, piuttosto, nell’aiutare concretamente i lavoratori e le lavoratrici, anzitutto quelli che perdono il posto, ma anche tutti gli altri, ad aggiornare ed incrementare il loro bagaglio professionale. Questo è quanto rileviamo dalla domanda sull’accezione di flessibilità, che ha messo in luce la principale richiesta degli imprenditori ai propri collaboratori: massima versatilità nell’adattarsi alle diverse esigenze operative, capacità di svolgere con precisione un ruolo, ma anche di sostituire per qualche tempo il collega assente, che normalmente fa tutt’altre cose. Tale risposta fotografa, mi sembra, la grande differenza tra la grande azienda, tendenzialmente ancora fordista e fortemente gerarchicizzata, rispetto alle piccole e medie, dove è importante saper mettere la mani su tutto, o quasi, il ciclo produttivo, dove tutti devono sentirsi responsabili del risultato finale, ciascuno anzitutto, ma non solo, per la propria parte. Efficienza operativa, quindi, al primo posto e con largo distacco su altre esigenze, a cominciare da quella di riduzione dei costi: piuttosto, si ribadisce la necessità di poter inserire nell’organico, all’occorrenza, figure temporanee”.

“Infine, abbiamo rivolto una domanda molto mirata sulla disponibilità da parte delle aziende ad assumere personale femminile dalle liste di mobilità. Abbiamo registrato un atteggiamento di apertura ed interesse da parte del 27,2% degli intervistati, dato che, calato nella congiuntura, rappresenta un risultato da non sottovalutare e un potenziale da mettere a frutto”.

“Su questo fronte - conclude De Marchi - andremo a fondo concretamente, agevolando l’incontro fra domanda e offerta di lavoro e fornendo tutto il supporto formativo necessario per un positivo reinserimento nel mondo del lavoro di persone con bagagli professionali diversi”.

 

 

 

 

 

 

 

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