PEGGIORANO ANCORA I RAPPORTI TRA LE PMI VENETE E IL MONDO DEL CREDITO

Comunicato stampa , 28 gennaio 2009

Il Presidente Gianni Tommasi: «Prudenza comprensibile, ma senza soffocare la ripresa»

 Il dati della nuova indagine regionale di Apiveneto Fidi evidenziano una maggiore criticità rispetto alla rilevazione dello scorso novembre: il 53% delle PMI ha riscontrato un aumento delle condizioni praticate, il 25% una riduzione dei fidi ordinari, il 16% il rifiuto di nuovo credito

 Continua il momento difficile per i rapporti tra PMI e sistema bancario, anzi a dispetto delle dichiarazioni di intenti registrate recentemente le difficoltà sembrano essersi acuite ulteriormente nell'ultimo periodo: è questo, in sintesi, il risultato della nuova indagine regionale realizzata da Apiveneto Fidi su un campione di oltre 320 piccole e medie imprese. La ricerca costituisce l'aggiornamento di un'analoga indagine realizzata lo scorso novembre, nell'ambito dell'attività costante di monitoraggio realizzata da Apiveneto Fidi, il confidi regionale del sistema Confapi Veneto che conta 1.500 imprese PMI associate appartenenti a tutti i settori produttivi (manifatturiero, commercio, servizi) ed opera in convenzione con oltre 20 istituti di credito a carattere sia locale che nazionale.

Dal confronto con la ricerca precedente arriva la conferma del perdurare della crisi dei rapporti tra PMI e sistema bancario, che proprio con l'inizio del nuovo anno sembra avere raggiunto l'apice. Rispetto a tre mesi fa, infatti, ben il 59% delle imprese dichiara variazioni nei rapporti con i propri istituti di credito, contro il 56,5% della precedente rilevazione. Analizzando i singoli motivi di sofferenza - che spesso risultano essere concomitanti - si scopre così che ben il 53% ha registrato un aumento delle condizioni praticate (tre mesi fa erano il 45,5%): in particolare l'aumento medio di spese e commissioni è pari al 15%, ma si evidenziano anche punte del 70%, mentre per quanto riguarda gli aumenti degli spread nel 46% dei casi è compreso tra lo 0,26% e lo 0,75% e in un significativo 37% oltre lo 0,76%. Ma è soprattutto l'ulteriore stretta sulla concessione di credito a costituire un segnale allarmante: il 25% delle imprese ha visto una riduzione dei fidi originari (contro il 14%) e il 16% il rifiuto di nuovo credito (10%).

Ancora una volta, però, i fenomeni evidenziati non coinvolgono tutti gli istituti di credito in uguale misura: a richiedere maggiori rientri sono soprattutto i grandi gruppi bancari (52%), seguiti dalle banche popolari (43%), mentre il fenomeno tocca i crediti cooperativi solo per il 5%. Il rifiuto di nuovo credito, invece, vede le banche popolari coinvolte nel 64% dei casi, i gruppi bancari nazionali con il 33%, i crediti cooperativi per il 3%. Una classifica, questa, rispecchiata anche analizzando i rincari, praticati soprattutto da banche popolari (49%) e grandi gruppi bancari (43%) e in misura molto minore dai crediti cooperativi (8%).

«Questi dati - sottolinea Gianni Tommasi, Presidente di Apiveneto Fidi - dimostrano che a dispetto dei tanti proclami sentiti nell'ultimo periodo è stato fatto molto poco, in concreto, per sostenere le PMI e che addirittura la situazione si è aggravata rispetto allo scorso autunno. In altre parole non stiamo notando grande sforzo da parte delle banche per venire in aiuto del sistema produttivo, completamente schierate in difesa e travolte, anche psicologicamente, da problemi che certamente le imprese non hanno contribuito a creare ma che si trovano inevitabilmente a pagare».

Un problema, quello del credito, che appare strettamente connesso con l'attuale contesto congiunturale: «Anche a livello comunitario il problema del credito è stato riconosciuto come quello da risolvere con la massima priorità. Che la crisi porti con sé un credito più rischioso questo è un fatto assodato, perché le imprese ovviamente si presentano con problemi diversi e più gravi rispetto ad un periodo di floridità economica, ma questo non deve e non può determinare una chiusura a riccio del sistema finanziario per paura dei default, in quanto così facendo dalla crisi si uscirà molto più tardi e con enormi sofferenze anche in termini di prezzo sociale».

«In questo contesto, quindi, preoccupano le dichiarazioni fatte da alcuni AD delle principali banche italiane a margine del recente incontro con il governatore Draghi, che appaiono in netta contrapposizione con i dati riferitici dalle imprese. Non è vero, ad esempio, che l'erogazione del credito è in calo per una diminuzione della domanda legata alla recessione: i nostri dati e la nostra operatività dimostrano che le imprese continuano a chiedere aiuto per poter investire, ma non ottengono le risorse necessarie a sostenere il proprio sviluppo. E ancora, preoccupa l'enorme massa di liquidità che le banche continuano a tenere presso la BCE invece di rimetterla in circolo sul sistema produttivo e sostenere così una ripresa per la quale esistono comunque le condizioni. Soprattutto, occorre fare chiarezza sul ruolo del capitale nelle banche; è necessario introdurre con urgenza nuove regole, più flessibili, che rivedano in profondità l'attuale normativa di Basilea2, dimostratasi fallimentare nel fronteggiare momenti di crisi acuta e che istituiscano un'efficace sistema di sorveglianza a livello europeo sulle grandi banche."