NIENTE SALVATAGGIO PER LE PMI: IL FONDO PER LA RISTRUTTURAZIONE DELLE IMPRESE IN CRISI NON LO PERMETTE

Comunicato stampa, 14 luglio 2010

Filippo De Marchi, presidente di Apindustria Vicenza protesta contro una misura

ancora una volta iniqua e noncurante delle dimensioni del 98% delle aziende

italiane ed europee

E’ ufficiale: dal 5 luglio 2010 le imprese in crisi potranno fare domanda per accedere al Fondo per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà. Un bel segno, certo, in un periodo come quello attuale, che previene dall’attacco incondizionato e immediato di banche e creditori, alle quali si offre la garanzia del Fondo in attesa delle opportune analisi e riflessioni da parte degli esperti sullo stato effettivo dell’azienda. Peccato che, come accade di consueto da anni, a rimanere sempre fuori dai giochi sia la stragrande maggioranza delle imprese italiane ed europee, alle quali i Governi continuano ad ostinarsi a non pensare.

«Un dato per tutti, che vorremmo mettere nuovamente in luce, se non fosse ancora chiaro a chi di dovere – esordisce Filippo De Marchi, Presidente di Apindustria Vicenza -: il 99,8 % di tutte le imprese europee è costituito dalle PMI e di queste il 91,5% sono micro imprese, solo il 7,3 % sono piccole imprese e appena l’1,1% sono medie. Significa che il 98,8% delle imprese su cui si basa l’economia, nostra e dei nostri “cugini oltre confine”, e a cui si collega il 67,1% dei posti di lavoro nel settore privato, non rientra nei parametri stabiliti per poter usufruire del Fondo».

Infatti, ad accedere agli aiuti messi a disposizione saranno solo le imprese organizzate in forma di società di capitali che rientrino nella definizione europea di media impresa e grande impresa (fatte salve quelle operanti nei settori del carbone, dell’acciaio, della pesca, dell’acquacoltura e del settore agricolo, e soprattutto per le quali non siano state presentate istanze giudiziali per l’accertamento dello stato di insolvenza), dove la soglia che divide le “medie” dalle “grandi” imprese si attesta sui 250 dipendenti, un fatturato di 50 milioni di euro e un totale di bilancio di 43 milioni di euro: sotto tali numeri si parla di “medie”, sopra agli stessi numeri si parla di “grandi”. Sopra o sotto, rimangono pur sempre numeri ai quali praticamente nessuna delle PMI riesce ad arrivare. «E’ molto grave – continua De Marchi -, denota una mancanza di pragmaticità e visione prospettica, o peggio ancora, di serietà e responsabilità nei confronti di tutti, in un momento di grave difficoltà, dove non si può più tergiversare o seguire le solite linee di interesse privato e di poche oligarchie. E’, oggi, il momento delle decisioni per la collettività: o agiamo in fretta o rimaniamo alla finestra a guardare senza più strumenti il definitivo tracollo di molti settori».

L’amara riflessione è che in un’economia come quella dell’Italia, dove la grande industria continua a non mostrare segnali di ripresa, sono invece proprio le piccole e medie imprese a distinguersi nei processi di trasformazione e di sviluppo. Nonostante le difficoltà, le PMI continuano a mantenere e ampliare le proprie quote di mercato estero, confermando il proprio fondamentale ruolo all’interno del sistema economico nazionale. Ora mutato lo scenario internazionale vanno valutati gli effetti delle dimensioni delle aziende. Per questi motivi le PMI e soprattutto quelle micro, che affollano i distretti, devono essere dotate degli strumenti per affrontare la sfide e le trasformazioni. Perché allora rimangono sempre al di fuori dei giochi?

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