"SE LA CISL VUOLE FARE A VICENZA IL LABORATORIO DEI NUOVI CONTRATTI, NOI CI STIAMO"

“SE LA CISL VUOLE FARE A VICENZA IL LABORATORIO DEI NUOVI CONTRATTI, NOI CI STIAMO”
Il segretario provinciale della Cisl, Gianfranco Refosco, ha rotto gli indugi e ha proposto di sperimentare proprio a Vicenza nuovi contratti di lavoro.
“La nostra provincia è sempre stata un passo avanti agli altri, fin dagli anni ’70, ma anche recentemente, basti pensare a come è stato risolto il problema delle anticipazioni sulle casse integrazioni e, perché no, al contratto territoriale per i metalmeccanici firmato alla fine del 2011” sottolinea Lorenzin, presidente di Apindustria Confimi Vicenza e, soprattutto, vice presidente nazionale di Confimi Industria.
“Se si tratta di ragionare assieme su un nuovo modo di impostare e, soprattutto, realizzare la contrattazione collettiva, noi ci siamo. Non possiamo dimenticare che il nostro tessuto economico è fatto quasi esclusivamente di piccole e medie aziende, dove la contrattazione aziendale fatica a prendere piede. Se vogliamo dare efficacia al modello, non possiamo prescindere da una fase di contrattazione a valenza territoriale, capace di ridistribuire la ricchezza prodotta sul territorio.”
Questo significa che proponete di superare il contratto collettivo nazionale?
“Per certi aspetti, sì. È tempo di prendere atto che il contratto nazionale deve recuperare il suo ruolo fondamentale, quello di definire i livelli minimi, sia sotto il profilo retributivo che di salvaguardia normativa. Trovo fondamentalmente sbagliata l’idea di fissare il salario minimo per legge, sono le parti sociali che dovrebbero saper coniugare la salvaguardia del potere d’acquisito alle tendenze generali dell’economia e del mercato del lavoro. Ma non ha più senso normare esclusivamente a livello nazionale ogni aspetto puntuale del rapporto di lavoro e, soprattutto, normarlo con infinite variazioni sul tema, a seconda del settore di appartenenza dell’azienda. Oggi abbiamo la bellezza di circa 800 contratti depositati al Cnel, che si autodefiniscono nazionali e che, nella maggior parte dei casi, hanno un’applicazione reale assolutamente irrilevante, complicando inutilmente il sistema delle relazioni industriali”.
Che vuol dire, che i metalmeccanici dovrebbero avere le stesse regole dei chimici?
“Se si tratta di garantire diritti e tutele fondamentali, queste dovrebbero tendenzialmente essere uguali per tutti. A nostro avviso, la prospettiva non può che essere quella di un contratto unico. Non, ovviamente, la semplice sommatoria delle discipline oggi vigenti. Confimi Industria ha già proposto a Cgil-Cisl-Uil di avviare un confronto finalizzato, con i tempi e i passaggi intermedi necessari, alla definizione di un “contratto unico della piccola e media industria manifatturiera”, anche attraverso il progressivo accorpamento dei contratti collettivi vigenti.”
E tutte le norme oggi contenute nei contratti collettivi, che fine farebbero?
“Sarebbero in buona parte riportate al livello decentrato, che oggi si limita – quando va bene – a regolare la flessibilità dell'orario di lavoro e il salario variabile. Per Confimi Industria il secondo livello deve essere un vero e proprio strumento “di completamento” della contrattazione nazionale, ad esempio attraverso la realizzazione di forme di welfare integrativo, in grado di contribuire ad un miglioramento della situazione del lavoratore. Ho detto di completamento, badi bene, perché la realizzazione delle forme di welfare integrativo dovrebbe essere uno dei compiti primari del livello nazionale, costituendo strumenti che assicurino servizi concreti ai lavoratori e alle imprese, senza moltiplicare fondi ed enti bilaterali concepiti per avvantaggiare anzitutto le parti costitutive.
Ad esempio, di che dovrebbero occuparsi questi strumenti?
“Penso a temi come l’inclusione giovanile e la staffetta generazionale, ma anche il sostegno alle politiche attive e a chi perde il posto di lavoro, senza trascurare la conciliazione dei tempi di vita e, ovviamente, l’assistenza sanitaria e la pensione integrativa.
Una piccola rivoluzione…
“Un cambiamento radicale è necessario, questo è innegabile. Noi proponiamo il contratto unico, concepito come una sorta di contratto “modulare”, costituito da una base comune, leggera e semplificata, contenente principi-quadro omogenei, applicabili all’intero sistema economico, ma anche solida e di facile applicazione, che fisserà le condizioni fondamentali a livello normativo, economico, di sicurezza e democraticità all’interno delle aziende e, perché no, anche di partecipazione dei lavoratori.
In estrema analisi, il contratto unico potrebbe valere non solo per i dipendenti privati, ma anche per quelli pubblici.
“Sarebbe bello, ma non corriamo troppo…”

Vicenza, 14 settembre 2015