IL FONDO SERENELLA NON INCANTA LE PMI: «DAL GOVERNO SOLO FUMO NEGLI OCCHI»

Il fondo per le Pmi vittime di mancati pagamenti da parte di altre aziende debitrici non viene accolto con entusiasmo da Apindustria Confimi Vicenza. Gestito dal Ministero per lo sviluppo economico, il fondo è stato ribattezzato “Serenella”, dal nome di un’imprenditrice artigiana che, di fronte al concreto rischio di “chiudere per crediti”, tentò il suicidio, fortunatamente senza riuscirci.
«Finalmente arriva un primo segnale di risposta al problema dei pagamenti tra privati – è la premessa del Presidente Flavio Lorenzin - dopo il buco nell’acqua del Governo Monti che raggirò il recepimento di una precisa direttiva europea sui termini di pagamento, inserendo la formula “salvo diversi accordi tra le parti” che di fatto salvò quelle scandalose “prassi commerciali” fatte di pagamenti a 180 giorni e oltre, a danno delle nostre aziende».
Tuttavia, secondo Lorenzin, non è il Fondo Serenella previsto dalla legge di Stabilità 2016 a risolvere il problema dei pagamenti: «Per questi aiuti è stata prevista una dotazione di appena 10 milioni di euro annui per il prossimo triennio. Tanto per dare un’idea dell’insufficienza dello stanziamento, basti pensare che l’ormai famosa Serenella vantava crediti per 300 mila euro».

In realtà, secondo il Presidente, non ci sarebbe nemmeno bisogno di uno stanziamento maggiore, visto che i soldi comunque non li prenderà quasi nessuno: «Non tutti i mancati pagamenti consentono di accedere al fondo di garanzia: possono beneficiarne solo le Pmi che risultino “parti offese” in procedimenti penali già in corso al 1 gennaio 2016 per i reati di truffa, estorsione, insolvenza fraudolenta o comunicazioni sociali. Basta ricordare che per integrare il reato di truffa devono esserci specifici artifizi e raggiri posti in essere a danno della vittima, e per l’estorsione, addirittura violenza e minaccia: tutte circostanze che non sembrano essere presenti nella maggior parte delle insolvenze. Semplicemente, chi dovrebbe pagare, non lo fa».
Ma la beffa non è finita, perché secondo la legge il creditore deve anche restituire il denaro ricevuto se il debitore viene assolto dall’accusa dei reati suddetti: «In pratica – precisa Lorenzin – anche se i soldi incassati sono indubitabilmente propri, bisogna comunque restituirli al “legittimo debitore”. La norma si guarda bene dal precisare cosa accadrà nei casi in cui il processo penale si estingue per l’intervento della prescrizione o di un patteggiamento».
Morale della favola: l’Italia è ancora uno dei pochi paesi che tutela il credito privato solo a parole, soprattutto quando il creditore è una Pmi e il debitore è una grande impresa. «Apindustria Vicenza sta portando avanti da tempo forse l’unica proposta concreta a vantaggio di tutti i legittimi creditori – conclude il Presidente – indipendentemente dal fatto che siano vittime di reati o che abbiano avviato un procedimento per il recupero degli insoluti. La proposta è semplice: si dia la possibilità di sfruttare (come consente la Direttiva 112) il meccanismo delle note di variazione Iva, con possibilità del fornitore di recuperare l’Iva già versata e obbligo del debitore (che l’ha detratta senza pagare) di riversarla all’Erario. Il tutto, se gestito per il tramite dell’Agenzia delle Entrate, favorirà il ritorno al virtuosismo nei pagamenti e ridurrà lo stock di perdite erariali dell’Iva da fallimento.

Vicenza, 3 febbraio 2016

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