DIMISSIONI TELEMATICHE, LE PMI BOCCIANO LA NORMA.

PER I FURBETTI DELLE DIMISSIONI IMMERITATA INDENNITÀ DI 24 MESI
Conto alla rovescia per la fine di un’epoca. Dal 12 marzo una lavoratrice o un lavoratore che vorranno dimettersi liberamente, per cambiare posto di lavoro o attività, ma anche semplicemente per andare in pensione, dovranno sottoporsi ad una procedura informatica a prova di hacker e, tanto per cambiare, costringere le imprese a nuovi adempimenti burocratici.
«Ancor prima che la norma entri vigore chiediamo già al Governo di valutarne l'abrogazione – dichiara Flavio Lorenzin, presidente di Apindustria Confimi Vicenza – in quanto si tratta di un vero percorso a ostacoli, aggravato da un farraginoso diritto di ripensamento e da sanzioni del tutto sproporzionate. Dopo l'uscita della circolare con le istruzioni ministeriali le nostre perplessità iniziali, invece di placarsi, sono aumentate, grazie anche a un paio di passaggi a dir poco “surreali”».

Il rappresentante delle Pmi ricorda anzitutto l'autoesclusione dello Stato e di tutta la pubblica amministrazione dalla platea dei datori di lavoro soggetti alla nuova disciplina, motivata dall'assenza negli enti pubblici delle dimissioni in bianco. Per Lorenzin è uno strano criterio interpretativo: «Come dire che, siccome da me non risulta presente la pratica dell’evasione fiscale, non mi sento soggetto all’obbligo di tenere le scritture contabili. Ricorda molto il metodo seguito a suo tempo per le collaborazioni coordinate e continuative: nel privato ci voleva un progetto, nel pubblico e in un certo privato “tutelato” invece no, perché lì i collaboratori erano da ritenere veri lavoratori autonomi. Migliaia e migliaia di precari da regolarizzare hanno poi clamorosamente smentito quell’impostazione».
Sempre secondo il testo della norma, qualora le dimissioni siano rassegnate in modalità diverse, il datore di lavoro “dovrebbe invitare” il lavoratore a compilare il modulo. E se non lo fa o, com’è più probabile, se il lavoratore non si preoccupa nemmeno di rispondere?
Come se non bastasse, la norma non prevede nemmeno alcun rimedio contro i cosiddetti “furbetti” delle dimissioni, cioè quei soggetti che vogliono andarsene dall’azienda, lucrando però l’indennità di disoccupazione, e che per questo si limitano a rendersi irreperibili, provocando normalmente un licenziamento disciplinare, che all’azienda costa quantomeno il “ticket Naspi” (fino a circa 1.500 euro) e all’Inps 24 mesi di immeritata indennità.
«Faremo di tutto per scoraggiare questi comportamenti - assicura Lorenzin – consigliando alle imprese di non licenziare il lavoratore e di non instaurare alcuna procedura disciplinare nei suoi confronti, ma di invitarlo a riprendere il lavoro, avvisandolo che nel frattempo l’azienda lo considererà “assente ingiustificato”, senza retribuzione diretta. La procedura disciplinare sarà comunque esperibile all’eventuale rientro. Non è un rimedio a costo zero per l’impresa, perché c’è la maturazione del Tfr e un minimale contributivo da rispettare, ma prima di arrivare al punto di pareggio con il ticket Naspi, ce ne vuole. E, nel frattempo, il furbetto resterà senza indennità Inps e senza stipendio. Prima di prendere qualsiasi decisione, le imprese associate potranno comunque rivolgersi al nostro ufficio sindacale, in modo da affrontare al meglio ogni situazione».

Vicenza, 8 marzo 2016
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