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Gli studi di settore pregiudicano il futuro delle PMI

Vicenza, 4 settembre 2006

COMUNICATO STAMPA

APINDUSTRIA VICENZA



GLI STUDI DI SETTORE PREGIUDICANO  IL FUTURO DELLE PMI.

Studi di Settore nel mirino dell’Associazione di categoria vicentina che, attraverso la voce del presidente Sergio Dalla Verde, ne denuncia l’iniquità.


“Siamo al paradosso: è il Fisco a stabilire quanto devono fatturare le imprese. Anziché creare favorevoli condizioni di sviluppo e di maggior competitività per il Sistema Paese,  il Governo “punisce” a priori l’attività imprenditoriale, rendendo ancor più rigidi i famigerati Studi di Settore e penalizzando ulteriormente le piccole e medie aziende”. 

Non usa mezzi termini il presidente di Apindustria Vicenza, Sergio Dalla Verde, nell’attaccare questo particolare strumento che la manovra correttiva di agosto, propagandata come “Decreto liberalizzazioni”, rende ancora più iniquo riducendo la tutela dei contribuenti.

E’ sufficiente, infatti, ai fini dell’applicazione degli Studi di settore, che lo scostamento tra i ricavi richiesti  - per legge  - dal Fisco, senza controllo alcuno sul contribuente e quelli effettivamente realizzati, si verifichi anche per un solo periodo di imposta. Viene così a cadere l’ultima barriera rimasta a difesa delle imprese, ovvero il vincolo che lo scostamento si verifichi almeno in due periodi d’imposta su tre, anche non consecutivi.

“Proseguendo sulla strada già iniziata dal suo predecessore Tremonti – riprende il presidente Dalla Verde – anche Visco ritiene che le imprese debbano produrre ricavi e, quindi, redditi “per legge”, indipendentemente dalle regole che governano l’economia, dalle condizioni esterne e dalle situazioni contingenti che la caratterizzano: le aziende devono fatturare e guadagnare “per forza”, ogni anno, quello che il Fisco stabilirà. Tanto più che le analisi congiunturali degli ultimi anni confermano una generale contrazione degli utili”.

“Non c’è dubbio che gli Studi di Settore siano diventati lo strumento prediletto nella lotta all’evasione. Essi dimostrano però, sul piano concreto, un meccanismo  di difficile, se non impossibile, applicazione, specie in un sistema economico globale soggetto a cambiamenti sempre più rapidi. E’ pressoché impossibile, oggi, “storicizzare” i dati aziendali con l’obiettivo di usarli  a fini fiscali”.   “Nel corso del 2005 – sottolinea Dalla Verde -  l’Area Fiscale dell’Associazione ha condotto una ricerca interna da cui è emersa una situazione allarmante legata alla sempre maggiore pretesa impositiva del Fisco. Risulta, infatti, un problematico incremento del numero dei soggetti non congrui (il 45% del campione considerato) ai parametri dettati dagli Studi e, soprattutto, un preoccupante aumento dei maggiori ricavi richiesti per l’adeguamento, da parte dei contribuenti, allo scopo di evitare un accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria”.

“La stessa nostra confederazione, Confapi, sulla base dei risultati emersi a Vicenza, sta analizzando il fenomeno a livello nazionale, per portare, quanto prima, numeri e dati concreti sui tavoli decisionali dell’Esecutivo”.

“Dalla nostra indagine - sottolinea Dalla Verde - è emerso che gli adeguamenti di ricavi richiesti ora dal Fisco non sono più nella misura delle migliaia di euro, ma nella misura delle decine o centinaia di migliaia di euro, e sono richiesti ad imprese che hanno già pagato le imposte e che non potrebbero sostenere oneri ulteriori, tenuto conto dei risicati margini economici che l’attuale andamento della congiuntura, sebbene in ripresa, consente”.

“Proseguendo su questa strada  - conclude Dalla Verde – il Governo pregiudicherà il futuro stesso delle PMI, quei quasi quattro milioni di imprese con ricavi inferiori ai 5 milioni di euro, quelle stesse aziende che costituiscono il vero punto di forza dell’economia italiana e che, per oltre un decennio, hanno avuto la capacità di assorbire la manodopera proveniente dalla continua emorragia di posti di lavoro che, tuttora, caratterizza invece la grande impresa nazionale. Questo, aggiunto alla mai dimenticata questione IRAP, conferma una ingiusta impostazione della politica fiscale in Italia, che anziché premiare, penalizza le aziende che investono per ristrutturarsi, che assumono personale e che rafforzano le sedi in Italia, non delocalizzando. Chiediamo quindi al Governo una maggior attenzione rispetto al reale sistema produttivo italiano, che vede il 99.4 % delle aziende con meno di 50 dipendenti”. 

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