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PER IL 65% DELLE PMI LA PRESSIONE FISCALE SUPERA IL 50%.

 

Comunicato stampa

24 novembre 2008


 

AUMENTA IL RISCHIO DI DISMISSIONE DELLE PRODUZIONI E DI DISOCCUPAZIONE

Il dato è emerso da una recente indagine realizzata

dal Gruppo Giovani Imprenditori di Apindustria Vicenza

in collaborazione con i colleghi delle altre associazioni provinciali di Confapi



La pressione fiscale non accenna a diminuire sulle PMI, con risultati che nell'attuale contesto di crisi dei mercati possono essere disastrosi per l'intero sistema economico e sociale del Paese: è questo il messaggio lanciato dal Gruppo Giovani Imprenditori di Confapi analizzando i risultati di una recente indagine dal titolo "L'economia reale delle PMI oggi".


La ricerca, alla quale ha partecipato attivamente anche il Gruppo Giovani Imprenditori di Apindustria Vicenza, ha coinvolto un campione di 1.044 aziende attive nei più diversi settori (metalmeccanico, tessile abbigliamento, carta, plastica, gomma, elettronica, calzature, alimentare, legno, chimico, edile e servizi) e ha evidenziato una situazione critica: per il 65% delle PMI infatti la pressione fiscale complessiva, considerate IRES e IRAP, supera il 50%. Più in dettaglio, per il 30% del campione è tra il 50% e il 60%, per il 10% tra il 60% e il 75%, per il 22% addirittura tra il 75% e il 100%, fino ad arrivare ad un 15% di aziende per le quali la pressione fiscale supera addirittura il 100%.

«Questi dati - spiega Andrea Bertolaso, presidente del Gruppo Giovani di Apindustria Vicenza e componente della Giunta Nazionale dei Giovani Imprenditori di Confapi - dimostrano quanto la fiscalità in Italia sia l'effetto di azioni destrutturate da un insieme di provvedimenti occasionali a cui se ne sono sovrapposti altri presi sotto il segno dell'emergenza finanziaria, che hanno generato negli anni un meccanismo perverso per cui le imprese pagano le tasse anche di fronte ad una perdita civilistica. A questo punto occorre interrogarsi se è pensabile che un'impresa debba indebitarsi per pagare le tasse, con l'ulteriore beffa di dover pagare su questo indebitamento l'IRAP l'anno successivo».

Una riflessione importante, quella avanzata dai Giovani Imprenditori di Apindustria, che incide anche  sui commenti circa la competitività del sistema delle PMI. «Per una piccola impresa - spiega Bertolaso - è difficile, se non impossibile, pensare di effettuare nuovi investimenti, in macchinari, riorganizzazioni e ricerca, quando la crisi finanziaria generalizzata è aggravata da una pressione fiscale così irragionevole. Addirittura, in questo contesto non solo si disincentivano gli investimenti, ma si costringe le aziende più deboli a disimpegnarsi dalla produzione, scegliendo di acquisire manufatti da Paesi con manodopera a costi più bassi. In questa prospettiva, è un dato di fatto che oggi l'attuale politica fiscale costituisce un incentivo alla disoccupazione».


Un'ulteriore conferma viene da una simulazione comparativa relativa ai regimi fiscali ai quali è soggetta in Italia, Germania e Stati Uniti una piccola azienda con 30 addetti, 5 milioni di euro di fatturato e solide caratteristiche economico-finanziarie. Sommando le imposte locali e nazionali, l'incidenza delle tasse sull'utile lordo è pari al 27,6% in Germania e al 38,9% negli USA, mentre in Italia si arriva addirittura al 49,3%. «A questo punto è naturale interrogarsi - prosegue Bertolaso - su come possono le nostre imprese competere sui mercati internazionali se, oltre ai problemi congiunturali del momento, vengono anche ulteriormente penalizzate dal proprio Stato e dalle sue politiche fiscali».


Di qui una serie di proposte concrete, elaborate dai Giovani Imprenditori di Apindustria e presentate agli esponenti della politica in occasione del recente congresso nazionale svoltosi a Roma.

«Innanzi tutto - sottolinea Bertolaso - occorre riscrivere le regole fiscali privilegiando il lavoro ed i suoi prodotti e consentendo alle PMI di crescere, detassando gradualmente gli utili reinvestiti fino al raggiungimento di un'adeguata capitalizzazione. Più in dettaglio, chiediamo di abolire l'IRAP, almeno sul costo del lavoro, sulle perdite sui crediti e sugli interessi passivi, sempre che gli utili rimangano in azienda fino a capitalizzazione raggiunta, nonché di eliminare le tasse che si pagano su altre tasse e quindi l'IRES sull'IRAP. E ancora, chiediamo di armonizzare il peso della tassazione, eliminando i privilegi sulle rendite finanziarie e magari differenziando tra obbligazioni nazionali ed estere e soprattutto tra risparmiatori e "speculatori" professionisti. A fronte di un'eliminazione o drastica riduzione dell'IRAP si potrà introdurre un'imposizione sul reddito progressiva».

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