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Aumenti retributivi esentasse, una strada da percorrere

”Se pure dovesse verificarsi una ripresa dei consumi, infatti, il vero problema delle piccole e medie industrie si chiama competitività, un tempo fiore all’occhiello e oggi invece drammatica “linea del Piave” per molte aziende, ancora (ma per quanto?) risolute a non trasferirsi con armi e bagagli in qualche Paese dell’Est europeo o del Sud-Est asiatico. Quando si parla di questo argomento, diventa infatti inevitabile affrontare anche la questione del costo del lavoro, ben sapendo, tuttavia, di non poter battere su questo fronte le manifatture cinesi o rumene sebbene, come insegna lo stesso Governo, “anche un piccolo punto tagliato può liberare risorse e ingenerare effetti virtuosi”.

“Invece, i prossimi mesi saranno forieri di aumenti sensibili, complice un meccanismo di rinnovo dei contratti ormai datato ed un costo della vita sensibilmente cresciuto nell’ultimo biennio. Un’ipotetica richiesta di aumento di 130 euro equivale, tra contributi, Irap, assicurazione e accantonamenti vari, a più di 197: il 51,6% in più. Il che significa, per un’azienda con 15 dipendenti, 38.436 euro in più in un anno”.

“Naturalmente, nelle tasche dei lavoratori ne finirebbero poco più della metà, anche tenendo conto della riforma fiscale. In altre parole, anche se le aliquote diminuiranno, il gettito complessivo salirà, dato l’aumento dell’imponibile (a beneficio, detto per inciso, anche delle addizionali regionali e comunali)”.

“In questi ultimi tempi, qualche economista ha lanciato l’idea, semplice quanto efficace, di escludere dal prelievo contributivo e fiscale i prossimi aumenti retributivi. Allo Stato non costa niente, anzi, probabilmente alla fine ci guadagna lo stesso, grazie all’Iva, perché anche i lavoratori si ritroverebbero in busta paga un netto più alto”.

“Del resto, qualcosa del genere è già stato fatto: sia la “decontribuzione” sui contratti aziendali, sia soprattutto l’incentivo al rinvio della pensione (il cosiddetto “superbonus”), funzionano esattamente in questo modo. Mentre però la decontribuzione opera entro limiti ridicoli, il superbonus è totalmente esente, e stiamo parlando di importi dell’ordine, mediamente, tra i 400 e i 1.000 euro netti al mese”.

“Purtroppo, il nostro legislatore si è invece limitato a prevedere, con un seminascosto comma nella legge-delega di riforma delle pensioni, “l’elevazione fino a un (miserrimo) punto percentuale del limite massimo di esclusione dall'imponibile contributivo delle erogazioni previste dai contratti collettivi aziendali o di secondo livello”. Se davvero si vuole che i prossimi rinnovi contrattuali non si limitino a recuperare l’inflazione, ma possano anche ridistribuire la produttività, bisognerà osare molto di più”.

Filippo De Marchi
Assessore alle Relazioni Industriali
Apindustria Vicenza

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