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Dalla relazione del Presidente di Apindustria Vicenza - Assemblea 2005

Dalla relazione del Presidente di Apindustria Vicenza all’Assemblea annuale 2005 – parte pubblica

“Cosa significa per un’azienda operare secondo i criteri della Rsi? Significa operare in un ambiente di trasparenza e in un clima di rispetto.
- trasparenza e rispetto nei confronti degli azionisti e della proprietà: il che vuol dire garantire e remunerare il capitale investito; 
- trasparenza e rispetto tra le persone che lavorano nell’impresa: chiarezza nei rapporti, nell’impegno, nei contratti di lavoro, mission condivisa;
- trasparenza e rispetto tra impresa e fornitori: contratti chiari, che tutelino gli interessi sì dell’azienda, ma anche del fornitore;
- trasparenza e rispetto tra impresa e clienti: chiarezza sul prodotto,  sulle garanzie, sui pagamenti;
- trasparenza e rispetto tra l’impresa e la società civile in cui opera; l’impresa deve essere percepita come una ricchezza per la società;
- trasparenza e rispetto tra l’impresa e l’ambiente.
Nel linguaggio degli addetti ai lavori un’azienda è socialmente responsabile quando pone al centro del suo agire la qualità delle relazioni che ha con i propri “stakeholders”, ovvero tutti i portatori di interesse. 

Una delle conseguenze più rilevanti è che la Rsi contribuisce alla costruzione della “reputazione” dell’impresa, un valore squisitamente intangibile che offre credibilità al prodotto e all’azienda nei confronti del consumatore e del mercato.
In uno scenario internazionale, che ha visto la Rsi emergere come nuovo fattore e valore competitivo per le imprese, Apindustria Vicenza  ha aderito, nel 1999, fra le molteplici iniziative, al Gruppo di Frascati ed ha ospitato, nel 2004, la seconda tappa italiana di presentazione del Global Compact Network (protocollo sui diritti umani lanciato dal Segretario Generale Kofi Annan).
Sul piano concreto, come associazione, stiamo testando, con una quindicina di aziende associate, i 20 indicatori dedicati alla piccole imprese messi a punto dal ministero nell’ambito del “Progetto Csr-Sc” voluto dal Ministero del Welfare.
Stiamo inoltre predisponendo una guida sulla rsi declinata per le pmi, che verrà distribuita alle imprese associate. 
Perché ha un senso, oggi, parlare di Rsi?
Recenti indagini eseguite sia negli Usa che in Europa su aziende quotate in borsa hanno detto di sì: chi opera con un conclamato sistema di Rsi ottiene performance più elevate.
Se noi analizziamo il sistema industriale italiano ed europeo, formato soprattutto di pmi, ci rendiamo conto che, anche se non esplicitato, per amore o “per forza”, molte delle nostre aziende operano ad un buon livello di rsi rispetto al resto del mondo e rispetto anche ai livelli europei.
Si tratta di far emergere e migliorare questa qualità di rapporti ed obiettivi insiti nel sistema delle nostre pmi che da sempre  sono vicine al territorio in cui operano e lo “vivono”, pur nell’era della globalizzazione. 
Si tratta di fare diventare la Rsi la struttura portante della mission d’impresa, dell’operativita’ degli imprenditori, dei manager, di tutti i collaboratori che fanno vivere l’impresa.
In sostanza, si tratta di farla diventare una leva essenziale di vantaggio competitivo. 
Tutto questo non è altro che la frontiera del nuovo capitalismo raggiunto dalla nostra Europa dopo secoli di conflittualità sociali, di sacrifici, di errori.
In sintesi, la Rsi deve diventare un valore cardine della civiltà della nostra europa. deve e può diventare uno strumento competitivo per il nostro sistema produttivo ed industriale, su  cui basare il differenziale di valore da offrire al mercato. 

Possiamo dire che nel prezzo e nel valore di ogni nostro prodotto, una quota significativa è rappresentata dal costo della nostra civiltà.
Ed allora, come possiamo confrontarci con i nuovi paesi emergenti, che spesso adottano un capitalismo dove conta solo produrre a basso costo, con zero costi di Rsi, cioè con zero costi di civiltà europea?
Come possiamo competere in un mercato dove sempre più spesso le aziende europee ed italiane scelgono di delocalizzare nei paesi ad economia emergente per produrre a basso costo e poi re-introdurre il prodotto in italia, al di fuori delle regole, magari etichettandolo con disinvoltura “made in italy”? 
Come possiamo competere in mercati  dove le lobbies delle multinazionali influenzano e rallentano l’azione dei governi in favore di regole più trasparenti?
Un confronto insostenibile, salvo, almeno per ora, per poche nicchie di elevata tecnologia. Oggi si parla di dazi, di barriere monetarie. vengono invocati a difesa del nostro sistema industriale. Ricordiamo che i dazi hanno non pochi aspetti negativi:
- riducono le spinte all’innovazione e alla ricerca, perché tendono a salvare e proteggere i produttori meno efficienti; 
- storicamente, se eccessivamente utilizzati, hanno sempre portato i paesi verso l’autarchia ed al successivo declino economico (proprio perché non stimolano la concorrenza e quindi l’innovazione);
- sono ininfluenti in presenza di elevati differenziali di costi di produzione: che una t-shirt costi da 0.50 a 1 euro, per l’applicazione di un dazio del 100%, cambia ben poco;
- danno luogo a controdazi penalizzanti per i prodotti di qualità.
Quale soluzione allora? Noi proponiamo  anziché  “dazi monetari”, l’introduzione di  “dazi etici”.
Ma attenzione: non stiamo assumendo una posizione difensiva, né intendiamo usare la rsi come scudo per difenderci. Crediamo, lo ribadisco, che la rsi possa essere una leva per avere un maggior  vantaggio competitivo.
Crediamo che sia una strada che va percorsa, proprio per evitare che le nostre pmi si trovino a dover andare nei paesi emergenti a produrre secondo le logiche del mero abbattimento dei costi.
Le nostre imprese, quando scelgono di diventare socialmente  responsabili, però, devono trovare condizioni di mercato trasparenti.
La tua t-shirt entra nella nostra europa se è stata prodotta con i criteri della rsi, cioè nel rispetto dei lavoratori, nel rispetto dell’ambiente, nel rispetto dell’utilizzatore finale: con che tessuto, con che coloranti, con che igiene?
In una parola: “vogliamo il rispetto delle regole, delle nostre regole”.
“Vogliamo la reciprocita’ delle nostre regole”. Diversamente non entri.
I dazi etici possono rappresentare lo strumento per contribuire a diffondere, anche in un grande paese come la cina, parametri di comportamento capitalistico che oggi sono ancora poco conosciuti e adottati. Anche perché crediamo che la cina di oggi non esprima la grande cultura elaborata nei suoi 3000 anni di storia.
L’Europa deve esportare Rsi e contribuire al consolidamento, nel mondo, di un modello di “nuovo capitalismo responsabile”.
Siamo quindi convinti della necessità di diffondere la cultura e la consapevolezza negli imprenditori che operare secondo i criteri della rsi è indispensabile. Deve essere la nostra arma e in questa battaglia i nostri imprenditori, i nostri collaboratori, le nostre maestranze hanno bisogno dell’azione concreta, incisiva e determinata delle istituzioni a tutti i livelli.
In passato, l’imprenditoria italiana è cresciuta soltanto grazie alla  propria intraprendenza e ai propri mezzi.
Oggi, nel mercato globale, per quanto impegno, dedizione e risorse vengano profuse, gli imprenditori non possono vincere da soli.
Non possiamo più permetterci che il mondo dell’impresa e quello delle istituzioni di governo, sia nazionali che europee, viaggino su binari separati o, peggio, divergenti.  Si devono incontrare, avere gli stessi obiettivi.

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