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Legittimo il licenziamento del dipendente che molesta la collega

Estratto Apinforma
Notizia 20230822_EV2


Diritto del lavoro

Sono molestie che possono giustificare il licenziamento quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo, con assenza di rilievo della effettiva volontà di recare una offesa: è quanto ha stabilito la Cassazione civile, Sez. lav., con la sentenza 31 luglio 2023, n. 23295.

La vicenda ha origine a seguito del rigetto da parte della Corte di Appello di Firenze del reclamo di un lavoratore avverso la decisione con cui il tribunale di Arezzo aveva dichiarato legittimo il licenziamento, a lui intimato per aver tenuto comportamenti consistenti in molestie sessuali in danno di una giovane collega neoassunta con contratto a termine e assegnata alle medesime mansioni del ricorrente.

Secondo il tribunale, il comportamento addebitato al ricorrente, denunciato in due diverse occasioni dalla lavoratrice alla direzione aziendale, consistito in allusioni verbali e fisiche a sfondo sessuale, comunque indesiderato e oggettivamente idoneo a ledere e violare la dignità della collega di lavoro, costituisce giusta causa del licenziamento, a nulla rilevando che fosse assente la volontà offensiva e che in generale il clima dei rapporti tra tutti i colleghi fosse spesso scherzoso e goliardico.

Confermando la decisione di primo grado, la Corte di appello si è mossa nella cornice di definizione di molestie come consegnata dall’art. 26 del D.Lgs. n. 198/2006 ed ha, dunque, considerato molestie quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

Avverso detta decisione ha proposto ricorso per Cassazione il lavoratore, lamentando la valutazione di oggettiva idoneità del comportamento addebitato a ledere la dignità e sostenendo che le condotte in questione non integrino il contenuto delle disposizioni richiamate.

La Corte di cassazione ha ritenuto che il carattere comunque indesiderato della condotta, pur senza che ad essa conseguano effettive aggressioni fisiche a contenuto sessuale, risulti integrativo del concetto e della nozione di molestia, essendo questa e la conseguente tutela accordata, fondata sulla oggettività del comportamento tenuto e dell’effetto prodotto, con assenza di rilievo della effettiva volontà di recare una offesa.

Nel dichiarare inammissibile il ricorso la suprema Corte ha sancito che il giudizio così espresso, basato sulla corretta sussunzione dei fatti accertati attraverso le prove acquisite (i testi escussi hanno avvalorato le allusioni verbali e gestuali a sfondo sessuale) nella nozione legale di molestie sopra indicata, costituisce la regolare attività valutativa del giudice di merito la cui decisione va pertanto confermata.


a cura di Enrica Vetrugno 
del Servizio Legale di APINDUSTRIA CONFIMI VICENZA – Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

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