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Responsabilità C.d.A.: risponde dell’utilizzo di false fatture solo chi ha presentato la dichiarazione

Estratto Apinforma
Notizia 20230822_EV3


Diritto societario

Gli amministratori di una società i quali non abbiano sottoscritto una dichiarazione fiscale fraudolenta mediante l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, perché a ciò abbia provveduto un altro di essi nell'esercizio di funzioni a lui attribuite anche «in concreto», rispondono in concorso del reato solo se abbiano avuto conoscenza dell'inserimento di tali documenti mendaci in contabilità e, ciononostante, non si siano attivati per impedirne l'indicazione nella dichiarazione o per impedire la presentazione di questa.

Così ha deciso la Cassazione penale, Sez. V, sentenza 18 luglio 2023, n. 31017 in relazione all’art. 2392 cod. civ., secondo cui gli amministratori senza delega rispondono per i fatti pregiudizievoli per la società commessi in violazione di legge o di statuto da uno di loro nell'esercizio di funzioni al medesimo attribuite «in concreto», solo se ne erano a conoscenza e non hanno fatto il possibile per impedirne il compimento.

Nel caso in esame, in sede di merito veniva dichiarata la colpevolezza di due soci amministratori di una società per il reato di cui all’art. 2d.lgs. n. 74 del 2000 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o  altri  documenti per operazioni inesistenti): secondo la sentenza impugnata, la penale responsabilità del ricorrente per il reato ascritto andava riconosciuta perché lo stesso avrebbe agito in violazione degli obblighi connessi alla carica.

L'obbligo di presentazione delle dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, quando attiene a contribuenti diversi dalle persone fisiche, grava sui legali rappresentanti e, quindi, gli amministratori di una società rispondono non per la violazione di un dovere di controllo, ma per la violazione dell'obbligo dichiarativo posto direttamente a loro carico. Inoltre, pur essendo stata la dichiarazione in contestazione presentata da altro amministratore, il ricorrente, «in quanto titolare di poteri di amministrazione disgiunta, era effettivamente coinvolte nelle scelte gestionali delle società di famiglia e, dunque, ha partecipato a creare consapevolmente sinergicamente il meccanismo fraudolento di avvalersi della documentazione fiscale fittizia, sicché non è revocabile in dubbio la comune volontà di evadere le imposte».

La stessa decisione aggiungeva, ancora, che una conferma dell'intento fraudolento del ricorrente era desumibile sia dall'entità delle operazioni per fatture soggettivamente inesistenti nell'anno in contestazione, sia dall'annotazione in contabilità di ulteriori fatture di identica provenienza negli anni successivi.

In sede di ricorso per cassazione, uno dei soci lamentava la circostanza che la responsabilità di quest’ultimo fosse stata riconosciuta sostenendo il suo effettivo coinvolgimento nelle scelte gestionali della società e titolare, in ragione della carica ricoperta, di un dovere di vigilanza e controllo, senza considerare l'attribuzione di poteri disgiunti a ciascun amministratore, uno solo dei quali aveva sottoscritto la dichiarazione contenente le false fatture e senza indicare quale fosse stato l'effettivo contributo del ricorrente alla presentazione della dichiarazione. Inoltre, non era stata accertata nemmeno la consapevolezza, in capo al ricorrente, della fittizietà delle fatture utilizzate, non potendo tale situazione soggettiva essere desunta dagli «importi considerevoli» delle operazioni.

Nell’accogliere il ricorso, in particolare, la Cassazione ha valutato corretta la censura mossa in ordine al fatto che la responsabilità del ricorrente sia stata riconosciuta sulla base del mero dato della carica da essi ricoperta nella società, senza tenere conto né dell'attribuzione di poteri disgiunti ai diversi amministratori della società, né della sottoscrizione della dichiarazione ritenuta mendace ad opera di un solo amministratore, né dell'assenza di precisi elementi indicativi della consapevolezza del ricorrente in ordine alla fittizietà soggettiva delle fatture.

La questione attiene alla individuazione dei criteri di imputazione della responsabilità per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti agli amministratori di una società i quali non abbiano sottoscritto o presentato la dichiarazione.

Secondo la giurisprudenza, in tema di reati tributari, nel caso di delitto deliberato e direttamente realizzato da singoli componenti del consiglio di amministrazione di una società di capitali nel cui ambito non sia stata conferita alcuna specifica delega, ciascuno degli altri amministratori risponde a titolo di concorso per omesso impedimento dell'evento, ove sia ravvisabile una violazione dolosa dello specifico obbligo di vigilanza e di controllo sull'andamento della gestione societaria derivante dalla posizione di garanzia di cui all'art. 2392 cod. civ.(Cass., sez. III, 4 maggio 2021, n. 30689).

Questo precedente si pone in linea con l'orientamento consolidato in materia di bancarotta fraudolenta. Costituisce, infatti, affermazione costante nella giurisprudenza di legittimità quella secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, il concorso per omesso impedimento dell'evento dell'amministratore privo di delega è configurabile quando, nel quadro di una specifica contestualizzazione delle condotte illecite tenute dai consiglieri operativi in rapporto alle concrete modalità di funzionamento del consiglio di amministrazione, emerga la prova, da un lato, dell'effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società o, quanto meno, di "segnali di allarme" inequivocabili dai quali desumere, secondo i criteri propri del dolo eventuale, l'accettazione del rischio del verificarsi dell'evento illecito e, dall'altro, della volontà, nella forma del dolo indiretto, di non attivarsi per scongiurare detto evento· (Cass., sez. V, 13 giugno 2022, n. 33582; Cass., sez. V, 19 giugno 2018, n. 42568).

Il principio indicato si collega, fondamentalmente, alla disciplina fissata dall'art. 2392 cod. civ., secondo cui gli amministratori di una società non rispondono delle violazione dei doveri ad essi imposti dalla legge o dallo statuto in relazione a fatti commessi da altri componenti del C.d.A. nell'esercizio «di attribuzioni del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori» (primo comma), salvo essere «solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose» (secondo comma).

Sulla base di questo dato normativo, quindi, gli amministratori senza delega rispondono per i fatti pregiudizievoli per la società commessi in violazione di legge o di statuto da uno di loro nell'esercizio di funzioni al medesimo attribuite «in concreto», solo se ne erano a conoscenza e non hanno fatto il possibile per impedirne il compimento.

Secondo la decisione della Corte, tale impostazione deve operare anche con riferimento alla tematica della responsabilità penale di alcuni componenti del C.d.A. per fatti materialmente commessi dagli altri amministratori: pertanto, sembra ragionevole ritenere che gli amministratori di una società i quali non abbiano sottoscritto una dichiarazione fiscale fraudolenta mediante l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, perché a ciò abbia provveduto un altro di essi nell'esercizio di funzioni a lui attribuite anche «in concreto», rispondono in concorso del reato solo se abbiano avuto conoscenza dell'inserimento di tali documenti mendaci in contabilità e, ciononostante, non si siano attivati per impedirne l'indicazione nella dichiarazione o per impedire la presentazione di questa.

La Corte ha ritenuto che la partecipazione del ricorrente alle scelte gestionali della società, sebbene ragionevolmente implicata dal ruolo di amministratore, non significa necessariamente coinvolgimento nelle specifiche operazioni economiche alle quali si riferiscono le fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, a maggior ragione perché all'impresa erano preposti più amministratori, titolari, ciascuno, di poteri di amministrazione disgiunta. Né la dimostrazione della conoscenza della fittizietà soggettiva delle fatture può essere desunta dall'importo delle stesse, che riguardavano non più del 10 % del volume degli affari dell'impresa; di conseguenza, essendo tre i rappresentanti della società muniti di poteri di amministrazione disgiunta, e non risultando indicati elementi di diretta partecipazione del ricorrente alle stesse, non può dirsi superato ogni ragionevole dubbio in ordine alla consapevolezza di questi dell'utilizzo, da parte dell'ente, di fatture soggettivamente false.


a cura di Enrica Vetrugno 
del Servizio Legale di APINDUSTRIA CONFIMI VICENZA – Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 


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